Recensione di Antonella Tarquini.

Mussolini e i ladri di regime – Gli arricchimenti illeciti del fascismo di M. CANALI e C. VOLPINI.

Edizioni Mondadori, 2019.

Il mito della integerrima onestà di cui si vantava il regime fascista è definitivamente scardinato dal libro Mussolini e i ladri di regime che grazie a documenti inediti da poco a disposizione degli studiosi ricostruisce la corruzione dei vertici della nomenclatura fascista.
Gli autori, lo storico del fascismo Mauro Canali e il documentarista e autore televisivo per Rai Storia Clemente Volpini, hanno potuto consultare le carte dell’inchiesta voluta nell’estate del 1943 dal governo Badoglio, pochi giorni dopo l’arresto del Duce. Quando il 5 agosto i giornali resero nota l’istituzione di una commissione per indagare sui beni collezionati dai gerarchi nel corso del ventennio, furono in molti a tremare. L’inchiesta accertò arricchimenti illeciti per 118 miliardi, di cui solo 19 vennero recuperati dal fisco. Una sequela di corruzione, tangenti, appalti , denaro inviato all’estero, nascosto nei posti più improbabili, ville, palazzi, pellicce e gioielli. «Un intreccio perverso tra politica e affari alla faccia del rigore e dell’onestà tanto decantati dalla propaganda fascista». Tra i nomi eccellenti cui gli autori fanno i conti in tasca – solo per citarne alcuni – il ministro del Minculpop Alessandro Pavolini pronto a tutto per soddisfare l’amante, l’attrice Doris Duranti, e Roberto Farinacci: colui che da segretario del partito a ministro applicò nel 1938 le misure antisemite di segregazione razziale dettate da Mussolini, e accumulò una fortuna senza mai cessare di predicare l’incorruttibilità del regime. C’è poi l’impero immobiliare nel ferrarese di Edmondo Rossoni, ex leader sindacale, che pasteggiava con posate d’oro. Neppure il Duce sfugge all’inchiesta, con gli affari di famiglia , «con gli intrallazzi di Galeazzo ed Edda Ciano, l’avidità di Donna Rachele, la rapacità del clan Petacci». Non è superfluo ricordare che il deputato socialista Giacomo Matteotti prima di essere assassinato si accingeva a denunciare una storia di concessioni petrolifere all’impresa americana Sinclair Oil in cambio di tangenti a massimi dirigenti del partito vicinissimi al Duce, tra cui il fratello Arnaldo.
Le rivelazioni fecero scalpore, l’opinione pubblica reclamava giustizia; nonostante il re fosse contrario Badoglio si vide costretto a mettere sotto processo i colpevoli. Ma presto i procedimenti finirono nel dimenticatoio. Mauro Canali e Clemente Volpini li hanno tolti dall’oblio.

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